e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Scopri o riscopri l’autore
“e il naufragar m’è dolce in questo mare.”
Scritta nel 1819 da un Leopardi ancora giovane ma già provato dalla malattia e dall‘ infrangersi dei sogni, l’infinito è un idillio, un piccolo quadro nel quale il poeta dipinge il dispiegarsi della sua anima di fronte alla natura (ancora benigna) nel preciso attimo in cui l’Io si libera dei propri limiti e si abbandona a una dimensione al di là dello spazio e del tempo.
Il canto ci culla col dolce suono di “e” ripetute, col susseguirsi di parole soavi e “poeticissime” e coll’arguto gioco di alternanza tra il “questo” della realtà che ci circonda e il “quello” che l’immaginazione ci rivela in una stupefacente eppur graduale epifania. E’ la poesia dello spirito che scopre l’Eterno e diventa esso stesso parte dell’Infinito.
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